La rivalità che cambiò per sempre il volto del triathlon femminile.

Quando nel 1990 Bob Babbitt, allora caporedattore della rivista “Competitor”, si mise al lavoro per la copertina del numero di Ottobre della rivista, si trovò a gestire una situazione a dir poco imbarazzante. L’atmosfera in studio per la realizzazione del servizio fotografico, infatti, si rivelò piuttosto “intensa”, per usare un eufemismo.

In quell’occasione, Erin Baker e Paula Newby-Fraser, le migliori atlete del triathlon di quei tempi, posarono per una serie di ritratti stando schiena contro schiena e guardando la macchina fotografica, guardando il fotografo, guardando ovunque, ma mai incrociando gli sguardi l’una dell’altra. Come ricorda Bob Babbitt, “durante le riprese di due ore, non è stata detta una parola”. “C’era una tensione nell’aria che non avevo mai provato prima in nessun servizio fotografico.”

Le rivalità fanno parte di quasi tutti gli sport: Joe Frazier contro Muhammad Ali, Chris Evert contro Martina Navratilova e i Boston Red Sox contro i New York Yankees sono solo alcuni degli esempi più famosi di come nascono le leggende quando i grandi atleti si confrontano. 

Nel triathlon femminile, questa epica rivalità è nata tra la neozelandese Erin Baker e la sudafricana Paula Newby-Fraser: un confronto intenso, durato anni, alimentato dalla politica e da identità e personalità assolutamente “polarizzanti”. 

Il loro disprezzo reciproco arrivava al culmine ogni volta che si incontravano su un percorso di gara, alimentando così esibizioni appassionate che hanno avuto il pregio di cambiare comunque per sempre lo sport del triathlon femminile.

La rivalità nacque durante l’Ironman World Championships di Kona del 1986, quando Paula Newby-Fraser diventò la prima donna a scendere sotto le 10 ore in un IRONMAN. 

Il suo record del percorso in 9:49:14 eclissò in quell’occasione di oltre 36 minuti il record precedente, scioccando tutti, inclusa la stessa campionessa. 

“Avevo da poco iniziato quello sport”, ricordava Newby-Fraser. “Era solo il mio secondo IRONMAN, e all’epoca avevo qualche difficoltà a ottenere qualche vittoria contro le migliori donne, da Sylvianne Puntous a Joanne Ernst, fino ad arrivare a Erin Baker, che stava dominando le gare su ogni distanza in tutto il mondo (in proposito, si ricordi che Erin Baker vinse nella sua carriera tutti i campionati del mondo: Ironman, triathlon su distanza olimpica e duathlon…).

L’evento del 1986 fu forse la migliore gara della lunga carriera di Paula Newby-Fraser, mentre fu sicuramente la peggiore di Erin Baker, che fu costretta al ritiro.

Racconta Baker: “l’unica vera lacuna nella mia carriera è stata il ritiro a Kona nel 1986”. Quel giorno stavo molto male, ma ho sentito la responsabilità nei confronti dei miei sponsor e ho comunque corso, ma è stato disastroso”. Il ritiro fece molto male a Baker, ma non tanto quanto aver perso contro Newby-Fraser. 

Paula Newby-Fraser termina vittoriosa la sua gara a Kona nel 1986 dopo la squalifica di Patricia Puntous e il ritiro di Erin Baker.

La loro complessa inimicizia in quel momento aveva risvolti anche “politici”: la Nuova Zelanda di Baker, infatti, era in quegli anni schierata in un intenso conflitto contro l’apartheid nel Sudafrica di Newby-Fraser, e tale disputa coinvolse anche lo sport, prima il rugby e poi il triathlon.

Erin Baker si spese molto nella battaglia contro l’apartheid, e durante una delle proteste per impedire alla squadra di rugby degli Springboks sudafricani di giocare in Nuova Zelanda, Baker fu arrestata e le fu successivamente negato il visto per gli Stati Uniti per cinque anni.

Nel frattempo, in risposta al crescente sentimento anti-apartheid in tutto il mondo, erano stati di fatto impedite le trasferte anche a tutti gli sportivi sudafricani. Newby-Fraser era riuscita ad evitare le sanzioni decidendo di rappresentare il suo paese natale, lo Zimbambwe.

Fu così che da quel momento Baker vide in questa decisione di Newby-Fraser un modo ingiusto di aggirare le sanzioni contro il Sudafrica. In questo contesto, tra l’altro Baker approfittò proprio della platea dell’IRONMAN World Championship del 1986, al quale le fu concesso di partecipare dopo lo stop forzato, per esprimersi proprio contro la decisione di Newby-Fraser. Per questo le bruciò doppiamente il ritiro e soprattutto la vittoria della rivale “politica”.

Dopo un tentativo fallito nel 1986, Baker non aveva altra scelta che vincere assolutamente nel 1987. La sua strategia per battere Newby-Fraser fu quelle di fare ciò che nessuna donna aveva mai fatto in un IRONMAN World Championship: correre l’intera maratona senza mai fermarsi, nemmeno ai ristori. E la strategia funzionò, con Baker che vinse infrangendo anche il record del percorso di Newby-Fraser dell’anno precedente.

“Ad essere sincera, nel 1987 non pensavo fosse possibile correre un’intera maratona senza mai fermarsi un attimo”, ricorda Newby-Fraser, “ma Erin dimostrò che era possibile farlo”.

Erin Baker vinse il titolo mondiale nel 1987 correndo la maratona senza mai fermarsi nemmeno ai ristori.

“Quando Erin vinse nel 1987, tutti si chiesero se Paula fosse stata fortunata nel 1986”, ricorda Bob Babbitt. Quella mancanza di fiducia fece molto male a Newby-Fraser, che silenziosamente promise di riconquistare il podio nel 1988 per dimostrare a tutti che si sbagliavano. 

Nel frattempo, Baker continuava a vincere su tutte le distanze e a combattere le sue battaglie politiche e sociali. Quando, ad esempio, fu annunciato che l’inaugurale ITU World Championship nel 1989 avrebbe avuto un montepremi più alto per gli uomini che per le donne, Baker guidò con sicurezza e con successo la carica per ottenere la parità di retribuzione.

Intanto la rivalità tra le due atlete non aveva tregua. Quasi ogni gara era l’occasione per abbattere nuovi record a scapito l’una dell’altra e per alimentare nuove polemiche reciproche: fu così che Newby-Fraser, motivata da ciò che aveva vissuto nella gara del 1987, riuscì ad abbattere di nuovo il record del percorso di Kona nel 1988 in 9:01 :01, con Baker che arrivò seconda a 11 minuti. Ma nel 1990 Baker vinse di nuovo il duello, e poi nel 1991 di nuovo Newby Fraser. Proprio come nel 1987, la maratona si sarebbe rivelata l’elemento cruciale in ogni gara, con la vincitrice che sarebbe stata colei che avrebbe fatto segnare la corsa più veloce della giornata.

Il “mitico” Mark Allen, che in quegli anni ha corso nel campo professionistico maschile vincendo sei titoli mondiali IRONMAN, amico sia di Baker che di Newby-Fraser, ha detto: “la dinamica interessante nella loro rivalità in gara è stata che non hanno mai avuto quello che definirei il duello epico in cui entrambi erano in partita nello stesso giorno. Si sono scambiate le vittorie nel corso degli anni, e alla fine è sempre sembrato che ciò che aveva reso epica o tragica la loro giornata fosse il gioco di forza mentale e di fiducia. Da osservatore esterno, la migliore delle due in quelle gare era infatti sempre quella che sembrava avere trovato la testa giusta quel giorno, mentre l’altra sembrava essere quella psicologicamente più insicura in quella circostanza”.

Karen Smyers, la grande specialista di triathlon su distanze brevi in quegli anni, disse invece: “ho avuto modo di assistere in prima persona alla rivalità tra Paula ed Erin quando mi sono fermata alle Hawaii mentre tornavo a casa dai Campionati Mondiali ITU in Australia nel 1991 per vedere cosa fosse questa ‘pazza’ cosa dell’IRONMAN”. 

“La mia impressione del mondiale Ironman a quel tempo era infatti che si trattasse di un estenuante test di sopravvivenza che richiedeva per lo più molta sofferenza per riuscire ad arrivare superando il caldo e l’umidità. Fino a quel momento davvero non mi interessava, perché amavo allenarmi su distanze brevi e andare veloce nella distanza olimpica”. 

“Ma quando nel 1991 ho visto Paula ed Erin gareggiare l’una contro l’altra e ho visto il ritmo che stavano tenendo per tutto il tempo, e l’eccitazione di Erin che cercava di trascinare Paula in fuga dopo che Paula aveva ottenuto una frazione in bici straordinaria, sono stata colpita e affascinata. Quella era stata davvero una gara, non solo l’apoteosi della sofferenza”.

Karen Smyers vinse successivamente nel 1995 il suo unico titolo mondiale IRONMAN a Kona a causa della crisi da disidratazione subita da Newby-Fraser, che era ampiamente in testa alla gara, e che nonostante ciò riuscì comunque ad arrivare quarta (vedi il drammatico filmato al link: https://www.youtube.com/watch?v=g_utqeQALVE).

Il testo è tradotto liberamente da un recente articolo di Susan Lacke, senior editor di Triathlete (https://www.triathlete.com/).